Vino fatto ad arte o artefatto?

Un sondaggio in stile 4vini: tre opzioni all’inizio, un ragionamento, tre opzioni alla fine. Cambiare idea non è un delitto e forse è segno d’intelligenza,

I mostri nel vigneto (copyright)
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A – La legge vieta i vini artefatti
B – La legge non tutela la qualità
C – Ogni correzione è un’alterazione

vino artefatto

La recente revoca della denominazione “vin mèthode nature” da parte della Commissione Europea ha riacceso le diatribe fra i sostenitori del vino naturale e quelli del vino tradizionale. Ma la legislazione del 2020 tutela sufficientemente i vini tradizionali, le uve e soprattutto i vigneti che le producono?

I parametri fondamentali di un’uva da vino sono zuccheri e acidità. Gli altri parametri pur essendo molto importanti non sono presenti nelle norme nazionali, comunitarie o internazionali.

La definizione sintetica di un vino potrebbe essere: prodotto ottenuto dalla fermentazione dell’uva con un grado alcolico minimo pari a 8,5 o 9% vol e acidità superiore a 3,5g/L, salvo eccezioni. Rileggendola sembra perfino più rigorosa della famosa legge di purezza della birra, che prevede quattro ingredienti: acqua, malto, luppolo, lievito selezionato.

Come funziona la vite
Quando un grappolo d’uva matura, la concentrazione degli zuccheri aumenta mentre l’acidità del succo diminuisce. In una prima fase, quando l’acino si forma, la pianta porta al suo interno acido ascorbico, che viene utilizzato come fonte d’energia e perciò trasformato in acido tartarico, prodotto di accumulo inutile per la pianta. In una seconda fase, da quando l’acino cambia colore (invaiatura), la pianta fa un grosso sforzo per inviare nella bacca molto potassio che prende dal terreno. Il potassio è una specie di calamita per l’acqua (floema) e per gli zuccheri, che sintetizzati dalle foglie sono messi come barchette di carta all’interno del floema. Il potassio è un’anti acido (base) e perciò il suo accumulo nell’acino fa diminuire l’acidità. In sintesi: più zuccheri implicano maggiori concentrazioni di potassio e perciò minore acidità.

L’origine della legislazione vinicola
Nel 1924 fu fondato l’ufficio internazionale del vino, in acronimo dal francese OIV. La sua missiore era far fronte all’eccesso di produzione, armonizzare la regolamentazione e dar vita a reciproci riconoscimenti commerciali in materia enologica. Non a caso era l’anno del Regio Decreto 497 che per la prima volta autorizzava “produttori e industriali” a “costituirsi in consorzio per la tutela della denominazione … ”. L’ufficio era partecipato solo da otto Nazioni. Tra di esse Francia, Italia e Spagna avevano un ruolo preminente, che rivestono tuttora, a quasi 100 anni di distanza. Portogallo, Tunisia e Grecia rafforzavano la presenza mediterranea; Ungheria e Lussemburgo erano i due Paesi non bagnati dal Mare Nostrum. Gli anni che seguirono furono piuttosto bui storicamente e l’organizzazione del mercato viticolo cessò di essere una priorità fino al 1958, quando l’antica OIV fu rifondata col nome di ufficio internazionale della vigna e del vino . Da allora l’OIV si può definire un’organizzazione intergovernativa partecipata da esperti scientifici e tecnici, inviati e autorizzati dai rispettivi governi nazionali.

Zucchero e acidità nel periodo delle sovvenzioni
La nuova organizzazione, molto più partecipata, costituì il riferimento teorico della prima legge europea sul vino 816 del 1970. Essa aveva come obiettivo principale la regolazione del mercato e nelle premesse si legge:

… la politica agricola comune ha per scopo l’attuazione degli obiettivi dell’articolo 39 del trattato; … in particolare nel settore vitivinicolo la necessità di stabilizzare i mercati e di assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola interessata…

I Paesi europei erano allora divisi fra quelli del bacino del Mediterraneo, contrari all’uso dello zucchero da barbabietola, e quelli del nord per i quali era tradizionale il ricorso alla chaptalisation, termine francese per indicare lo zuccheraggio. Chaptal è infatti il chimico che studio i rapporti matematici fra zucchero e alcol e nel 1801 pubblicò: L’Art de faire, de gouverner et de perfectionner les vins.
Per promulgare una legge unica nel 1970 le Nazioni europpe raggiungono un compromesso che suddivide l’Europa in cinque zone, da nord a sud. Nella zona A è consentito un aumento massimo del grado alcolico di 3,5%vol, che diventano 2,5% vol in zona B, e 2% vol nelle zone C1, C2, C3. Ma viene inserito un altro paragrafo:

L’aggiunta di saccarosio [], può effettuarsi soltanto mediante zuccheraggio a secco e unicamente nelle regioni viticole in cui sia tradizionalmente o eccezionalmente praticata conformemente alla legislazione esistente alla data di entrata in vigore del presente regolamento.

Per le altre Regioni, fra cui l’Italia, l’aumento del grado alcolico poteva essere ottenuto solo con il mosto concentrato rettificato, estremamente più costoso e perciò sovvenzionato dalla Comunità Europea.
Per le zone C2 e C3 era prevista un’acidificazione massima di 1,5g/L espressi come acido tartarico.
Normando le aggiunte di zuccheri e acidi si regola indirettamente la produzione di uva per ettaro, che se troppo spinta porta a mosti poveri che genererebbero vini con parametri illegali, anche se venissero ritoccati nei limiti massimi previsti.
Ovviamente autorizzare una correzione legale, per quanto limitata, implica concedere una viticultura più allegra, che raggiunga gli obiettivi anche producendo più del dovuto.

L’acidità nei Paesi del nuovo Mondo
All’OIV si sono iscritti progressivamente altri Paesi del nuovo mondo, diventati produttori e esportatori quantitativamente importanti in ambito internazionale. Le loro normative però erano più permissive, in particolare per quanto riguarda l’acidificazione, dato che i loro vigneti sono situati prevalentemente in zone predesertiche. Nello stesso tempo in Europa si diffonde la convinzione che sia meglio far maturare le uve più a lungo per raggiungere la così detta maturazione fenolica, in modo tale che le uve rilascino il colore più facilmente. Anche i cambiamenti climatici permettono di ottenere una maturazione più completa, anticipando l’epoca di maturazione.

Le nuove norme europee sull’acidità
Nel 2008 vengono tolte completamente le sovvenzioni per l’impiego del Mosto Concentrato Rettificato e indirizzate su altre voci di spesa. Tuttavia rimane possibile arricchire i mosti in zucchero anche se con tenori leggermente inferiori, rispetto a quelli stabiliti in precedenza. Nel frattempo l’OIV cambia nome e diventa Organizzazione, ma soprattutto nella legge sul vino del 2008 l’UE dichiara che: “Per l’autorizzazione di pratiche enologiche [], la Commissione: a) si basa sulle pratiche enologiche raccomandate e pubblicate dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV) …

Le riforme diventano più veloci e spedite. In breve tempo si introducono varie risoluzioni OIV: l’impiego di acidi organici diversi dal tartarico (2011), l’uso di elettrodialisi (2010), l’uso di resine per togliere il potassio (2012) fino a portare il limite di acidificazione indipendentemente dalla zona a 1,5 g/L sui mosti più 2,5 g/L sui vini (2013).

Il punto di vista del vigneto
Data la legislazione vigente, un viticoltore potrebbe concimare con raziocinio e produrre uve di qualità adeguata oppure aumentare la concimazione in potassio, assicurandosi un buon grado alcolico e l’anticipazione della maturazione. Nel secondo caso ci sarebbe l’inconveniente della diminuzione dell’acidità dei mosti, ma può correggerla legalmente con l’equivalente di 4 g/L di acido tartarico, che per intenderci è più del 60% dell’acidità di uve raccolte a normale maturazione. Ecco quindi come si può spiegare il fenomeno di tanti vini con gradazioni alcoliche eccezionalmente elevate che però mantengono una buona “sapidità” e una “piacevole freschezza”.

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