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Alle origini del vino biologico c’è stata una feroce battaglia commerciale fra gli USA e i produttori di vini europei a proposito del procimidone. Questa molecola, utilizzata come antimuffa (anticrittogamico) in vigneto, non era mai stata ritrovata nei vini. Nei primi anni ’90 gli Stati Uniti misero a punto nuove metodiche analitiche, più sensibili delle precedenti, e riuscirono a trovare tracce di procimidone anche nei vini, sebbene fino ad allora si ipotizzasse che non ne contenessero.
Le importazioni di vini dall’Europa furono bloccate in attesa di certificati analitici adeguati. Ovviamente alcuni vini contenevano quantità rilevabili di procimidone, altri solo tracce. Per risolvere la querelle si decise di predisporre un elenco indicando la concentrazione massima ammissibile per ogni sostanza utilizzabile in vigneto; in modo da evitare che le Nazioni con maggiori capacità d’analisi chimica bloccassero le importazioni dagli altri Paesi. La Comunità Economica Europea emanò la direttiva 414/CEE, del luglio 1991, «relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari».
Vino da agricoltura biologica
Stimolata dalla dimostrazione pratica che i prodotti fitosanitari sparsi nell’ambiente possono ritrovarsi negli alimenti e recare danno al commercio, la comunità europea, promulgò anche il Regolamento N. 2092 del giugno 1991 “relativo al metodo di produzione biologico […] e alla indicazione di tale metodo sui prodotti […]”.
L’agricoltura biologica trovava così la sua prima etichetta.
Vini biologici
Nel 1991 l’enologia contemporanea era agli albori. L’impiego dei lieviti era in espansione, ma limitato quasi esclusivamente ai vini bianchi; spesso con dosaggi così limitati da incidere solo lievemente sul decorso fermentativo. Anche la chiarifica con enzimi muoveva i primi passi incerti, in Cantine spesso carenti di strutture e frigorie. Da allora sono stati autorizzati numerosi prodotti enologici. Con un’espansione tale da far pensare che fosse opportuno regolamentare anche un protocollo biologico di vinificazione.
Con il regolamento 203 del 2012, varato undici anni dopo il regolamento sull’agricoltura biologica, si dà ufficialità legale alla produzione di vini biologici.
Uno dei punti cardine della legge sul vino biologico è il principio di certificazione, secondo il quale un’Azienda agricola può utilizzare il logo bio solo se è certificata da un Ente esterno, autorizzato e a sua volta certificato.
Per evitare scorrettezze la direttiva europea stabilisce che il nome del certificatore deve essere riportato sulle etichette dei vini, vicino al logo bio ufficiale.
D’altro canto per evitare protocolli più rigoristi che non si pongano il problema della instabilità e della difettosità dei vini, la direttiva europea vieta esplicitamente l’impiego di qualsiasi altro logo bio che faccia riferimento a normative diverse da quelle stabilite per legge.
Tutti contenti? Assolutamente no!
I vini biodinamici
I produttori biodinamici considerarono sin dall’inizio la legislazione sui vini biologici troppo permissiva e proposero propri disciplinari più restrittivi. Alcuni certificatori biodinamici riportano il loro logo affianco al logo dell’Unione europea, aggirando di fatto le norme vigenti.
I vini vegani
Il veganesimo è quasi una filosofia di vita e il rifiuto dei derivati animali è assoluto, sebbene in enologia siano utilizzate da tempo immemore, sostanze consuete nell’industria alimentare: proteine del latte, gelatine, derivati dell’uovo. I loghi vegani, si riferiscono quasi sempre alla vinificazione, senza entrare nel merito della qualità biologica dell’uva. Sono diffusi soprattutto in Germania e meno presenti nel mercato italiano.
I vini naturali
Alcuni produttori, che si definiscono “naturali”, hanno iniziato a distinguersi dai vini tradizionali, sostenendo che per fare il vino buono si devono evitare tutte le manipolazioni dell’uva. Se da un lato la loro posizione è piuttosto interessante, perché legano la qualità alla naturalità, dall’altro è evidente che sottostimano le tematiche relative alla stabilità o alla presenza di alterazioni non desiderate e non ricercate. I produttori “naturali” sono spesso contrari alla certificazione biologica delle uve, per i costi che essa comporta, molto significativi per le piccole Aziende.
I vini sostenibili
Nel mondo anglosassone e latinoamericano sono nate varie associazioni che certificano i vini “sostenibili”. Secondo loro molti prodotti enologici sono inutili per chi cura con attenzione i vigneti; per produrre buoni vini esiste una via di mezzo fra lo sfruttamento intensivo dei terreni e le normative biologiche. L’obiettivo dei vini sostenibili è rispettare l’ambiente (anche per l’uso di acqua ed energia), ma anche l’economicità del processo di coltivazione e trasformazione. Queste filosofie produttive sono arrivate anche in Europa, spesso con il cattivo gusto di introdurre il colore verde nei loro loghi, senza preoccuparsi se risultano ingannevoli per il consumatore.
Le lobby anti vino biologico
Esistono anche lobby contrarie ai vini biologici, che hanno inserito colossali compromessi nella legislazione bio. Per le norme attuali se una cantina non riesce a reperire un coadiuvante di qualità biologica, può utilizzare lo stesso prodotto anche non biologico. Deve solo avere l’attenzione di includere nella sua documentazione due dichiarazioni di fornitori che affermano che per quel additivo/coadiuvante non è disponibile una certificazione biologica.
Il quadro è complesso e in costante mutazione, conteso fra i consumatori che vogliono più informazioni e i produttori che temono un rialzo dei costi non sostenibile.
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