Come si deve descrivere un vino?

Un sondaggio in stile 4vini: tre opzioni all’inizio, un ragionamento, tre opzioni alla fine. Cambiare idea non è un delitto e forse è segno d’intelligenza,

Emile Peynaud sin dal 1958 propose una mappa dei vocaboli
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B – con termini codificati
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descrizione vino

Alain Razungles, per molti anni professore d’enologia all’Università di Montpellier, scriveva nel ’98 nell’introduzione al capitolo su “Analisi sensoriale” del libro di testo Oenologie, mai tradotto in italiano:

“Diversi secoli di epicureismo ci hanno infatti dato un linguaggio della degustazione ricco, ma nato da un approccio sensoriale metodologicamente mal definito. Questa simpatica anarchia è stata oggetto di razionalizzazione sin dalla fine degli anni ‘40”.

L’evocazione dei ricordi olfattivi
Gli autori delle descrizioni dei vini si lasciano spesso trascinare dall’entusiasmo, irrefrenabilmente spinti dal desiderio di cercare termini precisi che dettaglino e descrivano meglio le loro sensazioni. Nelle associazioni olfattive, quando si lega la percezione ai ricordi, ogni termine è lecito. Al limite anche “grandine bagnata” che trovo meno lezioso e più attualizzato al cambiamento climatico rispetto a “petricore intenso” o “odore sprigionato dagli Attinomiceti filamentosi dopo la pioggia su un terreno asciutto (petricore)”. Denota invece una certa approssimazione l’utilizzo contemporaneo di descrittori di gruppo come “frutti rossi” e note di dettaglio come “cuoio” o “rosa passita”.
Quando parliamo invece di aspetti visivi e gustativi non sembra necessario ricorrere a termini evocativi, non dobbiamo infatti scegliere fra qualche migliaio di associazioni aromatiche a volte cangianti e sfuggenti.

La descrizione libera
Emile Peynaud sin dal 1958 propose una razionalizzazione dei vocaboli gustativi (vedi figura), trasformando gli aggettivi in punti di una mappa sensoriale. Il grande professore di Bordeaux non aveva fatto i conti con l’attuale anarchismo sensoriale. Più di una dozzina di guide, tre scuole maggiori e un numero infinito di corsi autogestiti sfornano una terminologia che già da sola è un’opera d’arte. Capita frequentemente di leggere esposizioni tipo: “teso e al contempo vibrante”; “un tannino croccante e un’acidità mutevole”; “verticale ma ampio”; “entra stretto e s’allarga in un anfiteatro poliedrico di gusti”.

La descrizione codificata
In questo contesto, tentare di descrivere un vino ricorrendo solo a termini noti e codificati richiede uno sforzo sovraumano. Perché l’edonismo imperante non permette di dare un significato stabile alle parole. Chi vuole ricorrere ad un termine dalla storia antica e ricco di significato come “rugoso” è costretto a specificare fra parentesi che sta parlando della “difficoltà di far scorrere la lingua sul palato superiore”.

La descrizione parametrata
Quando la descrizione diventa una valutazione critica l’attenzione si sposta sul confronto fra i vini. In questo caso l’impiego della libera aggettivazione lascia spazio alle stime dei parametri, spesso poco empatici. Entrano in gioco le acidità, l’amaro, le intensità tanniche, il dolce, il sapido/salato. La misura parametrale, sebbene sia fredda, è più comprensibile, permette una maggiore stabilità di giudizio nel tempo ed è riassumibile in un grafico. Sintesi estrema che diventa necessaria quando si confrontano più di 4 vini. Tuttavia non sempre i parametri sono in un numero sufficiente per riassumere il ventaglio delle caratteristiche di un vino.

Ogni stile descrittivo ha i suoi pregi e i suoi difetti.

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