Un sondaggio in stile 4vini: tre opzioni all’inizio, un ragionamento, tre opzioni alla fine. Cambiare idea non è un delitto e forse è segno d’intelligenza,
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Nel momento fondamentale dell’assaggio un degustatore è solo: lui, il vino e il bicchiere. Sesti d’impianto, rese ad ettaro, tecniche di vinificazione, piovosità dell’annata dovrebbero essere alle spalle e solo il bicchiere separa il naso da quel regalo intenso della natura che è un vino.
Ma il bicchiere è un dettaglio trascurabile?
Potremmo iniziare con una prova molto semplice, disponendo su due piatti diverse quantità di uva sultanina o di frammenti di cioccolato. Sul primo mettiamo solo quattro/cinque chicchi di uva o pezzetti di cioccolato. Sull’altro collochiamo una trentina di acini o di parti di cioccolato. Quando li annuseremo noteremo immediatamente che dal piatto con abbondanza di cibo riceveremo sensazioni aromatiche più intense e coglieremo un maggior numero di sfumature. Qualcosa di simile accade assaggiando in un bicchiere di piccole o di grosse dimensioni.
L’effetto superficie è solo uno dei tre principi con cui un bicchiere influenza la degustazione. L’effetto agitazione e ossigenazione è importante nella degustazione dei vini fermi, ma non dovrebbe interessare i vini con le bollicine, dato che in fase di assaggio ci dovremmo limitare a ruotare delicatamente il polso per evitare eccessi di effervescenza. Un bicchiere però ha anche un effetto diretto sulla liberazione o il trattenimento dell’anidride carbonica.
In un vino con bollicine sono presenti circa 7g/L di anidride carbonica. La sua concentrazione è almeno 14 volte superiore a quella dell’acido acetico e duemila volte maggiore della concentrazione dell’acetato d’isoamile (aroma banana/ciliegia), che è il composto volatile aromatico maggiormente presente nel vino.
L’anidride carbonica è un gas più pesante degli altri componenti dell’aria e perciò tende a stratificarsi verso il basso ed occupare la posizione subito sopra la superficie del vino. In un bicchiere tipo flûte, in cui c’è una protezione dalle correnti d’aria, la CO2 si stratifica nel bicchiere, rendendo più lenta e continua la dispersione delle bollicine.Il largo impiego di detersivi con additivi siliconici rende però le pareti dei bicchieri troppo lisce e ciò rende difficoltosa la formazione delle bollicine. Per evitare questo inconveniente i bicchieri devono essere risciacquati in acqua calda e poi lasciati sgocciolare da soli. Spesso, la mancanza di effervescenza dipende dall’impiego di un bicchiere inadeguato. Per osservare un’effervescenza più appariscente è necessaria una rugosità, come quella presente nel fondo acuto dei bicchieri di tipo Tulip.
Non sempre nella coppa l’effervescenza ha sufficiente altezza per esprimersi, la spuma si forma in maniera incompiuta e non persiste, la perdita di gas è più rapida. Inoltre, la coppa è scomoda da pulire e per i maldestri è sempre a rischio di traboccare. Tuttavia, paradossalmente, in ricordo di tempi antichi spesso si propone “una coppa di Champagne”.
La ritenzione dell’anidride carbonica ha effetto anche sulle percezioni olfattive. Quando valutiamo un vino servito in flûte annuseremo un mix aromatico con percentuali più elevate di CO2. L’eccesso di anidride carbonica genera una parziale occlusione nasale, perché il nostro cervello percepisce l’assenza di ossigeno come un pericolo e invia al naso l’ordine inconscio di chiudersi . In un bicchiere a coppa o a vaso, l’anidride carbonica è libera d’andarsene e ciò che percepiremo sarà completamente diverso.
Ovviamente diverso non implica automaticamente migliore. Tuttavia possiamo aggiungere che in una coppa percepiremo meno sentori di crosta di pane o di lievito e più profumi floreali e fruttati. Scoperto il trucco molti suggeriscono l’impiego di flûte per rendere ogni bollicina simile agli champagne più prestigiosi, degustati in flûte. Non sarebbe meglio utilizzare le coppe o i Tulip, che sono un compromesso con ampia superficie ma bordi ricurvi che trattengono la CO2?
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